DAVID TREMLETT

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“RAIN IN YOUR BLACK EYES” PER EZIO

CHIESA DELLA SACRA FAMIGLIA DOGLIANI

Orari di apertura del sabato e dalla domenica 10.00-12.30, 15.00-18.00

David Tremlett
Rain in your black Eyes, 2023
Cappella della Sacra Famiglia, Dogliani

Come un grosso monolite nero caduto misteriosamente dall’alto e che attraversa tutto lo spazio della Cappella della Sacra Famiglia a Dogliani, opera dell’architetto dell’Ottocento Giovanni Battista Schellino, l’installazione di David Tremlett, appositamente pensata e realizzata per questo luogo, crea un’esperienza percettiva dirompente.
Contrariamente a quanto avvenuto spesso nei lavori passati dell’artista, in questo caso la sua scelta non è stata quella di colloquiare con l’architettura in cui si è trovato ad operare ma piuttosto l’opera si è originata da una spinta creativa dirompente che ha puntato sul contrasto piuttosto che sull’osmosi. Il lavoro di Tremlett mette a dura prova la capacità di dialogo tra il linguaggio contemporaneo e quello del passato. Il fine, non detto ma reso manifesto dall’impatto visivo drammatico che si ha quando si entra nella cappella, è quello di suscitare emozioni forti e smuovere gli stati d’animo.
L’effetto stupefacente ed estraneante, che la presenza del parallelepipedo ricoperto interamente da grasso nero di grafite suscita, è indicativo di un’urgenza espressiva da parte di Tremlett che in questo caso si rende ben manifesta in tutta la sua potenza comunicativa. L’installazione, per le sue dimensioni imponenti, per la sua essenzialità e per l’assenza di colore, se non del nero, comunica, come raramente è accaduto nella produzione di Tremlett, un forte senso di dolore.
E’ nel titolo del lavoro, Rain in your black Eyes, che risiede la risposta al nostro interrogarci sul significato del lavoro e su cosa possa avere ispirato la sua forma e il suo aspetto. Si tratta infatti di un titolo che a sua volta rimanda a quello di un brano musicale (Rain in your black Eyes 2013) del compositore, direttore d’orchestra e amico di Tremlett, Ezio Bosso, recentemente scomparso (2020) e di origini torinesi.
Il legame tra Tremlett e Bosso è di lunga data e già in passato le loro storie si sono incrociate, per esempio nel caso di I love the piano, un lavoro realizzato dall’artista a Villa Pennisi, ad Acireale a Catania nel 2016 e che consisteva in un omaggio al musicista: “ci conoscevamo da 20 anni e il mio lavoro e il suo si sono uniti in molte occasioni, le radici erano spesso le stesse. Passione, struttura e lavoro costante. L’uomo, il musicista, il compositore erano costantemente, un cervello pieno di idee, di ottimismo e umorismo, che si spingeva incessantemente a creare” (Tremlett).
A rendere ancora più esplicito il richiamo a Bosso è la presenza nella cappella di Dogliani di una radio transistor degli anni Sessanta da cui si sentirà il brano del compositore che diventerà parte intergrante dell’installazione.
Sia il ricorso all’uso del grasso di grafite da parte dell’artista, dato direttamente con le mani sulla superficie dei muri della struttura posta al centro della cappella, sia la presenza della musica e quindi l’interesse verso il suono, risalgono entrambi agli inizi della sua attività quando, giovane scultore inglese tra la fine degli anni Sessanta e inizio anni Settanta, da una parte si trova a sperimentare con diversi materiali come il metallo, il legno, il grasso di grafite, la corda, dei chiodi e dall’altra, liberatosi dal fardello dei dettami accademici, pone ascolto verso ogni segnale che arriva dal fuori delle mura dello studio. Un’attenzione verso dettagli insignificanti come possono essere il rumore di porte che sbattono, quello di un motore di macchina, della pioggia che cade, il canto degli uccelli o il sibilo del vento che lo porta alla realizzazione dell’installazione sonora The Spring Recordings (1972), composta da 81 cassette che contengono la registrazione dei suoni provenienti dalla campagna inglese durante la primavera.
L’uso delle mani, al posto del pennello, per applicare il grasso di grafite su una superfice, costituisce una tecnica che distingue il lavoro di Tremlett e che rappresenta un tratto saliente e unico del suo operare. Sappiamo che quando lascia Londra nel 1972 e arriva in Australia l’anno successivo, dopo avere attraversato a piedi e in autostop l’Europa e l’Asia, il suo bagaglio, non tanto quello materiale ma soprattutto quello mentale, è leggero. Nel senso che porta con sé lo stretto necessario delle conoscenze fatte fin lì, ben sapendo che ciò che veramente conta è la disposizione d’animo, il modo con cui ci si posiziona nel recepire e accogliere tutto ciò che incontrerà lungo il percorso e che diventerà materiale prezioso per lui: “Dietro [le opere] c’è tutto un mondo di esperienze che entrano a far parte del mio lavoro. Possono essere dei paesi stranieri, la purezza delle forme africane, la bellezza delle chiese in Italia, persone che ho conosciuto o altro…Questo è il mio bagaglio culturale” (Tremlett).
Risale al 1969 All you need to be an artist, un’opera dal titolo emblematico consistente in una piccola scatola metallica con all’interno dei pastelli e del grasso di grafite. Strumenti di lavoro semplici, non ingombranti, che rimarranno invariati negli anni e che l’artista utilizza per la realizzazione dei suoi wall drawings, come nel caso dell’intervento alla Cappella a Dogliani.
L’uso di una parte del corpo per la realizzazione dei wall drawings, rimanda ad una pratica arcaica e primitiva, dove la conoscenza passa attraverso il contatto diretto con la materia. Le mani, che sostituiscono il pennello, diventano strumenti magici e mettono in moto un vero e proprio rito di iniziazione: in questo caso un’iniziazione all’arte. La scelta di Tremlett per instaurare un rapporto fisico con la sostanza organica rimanda ancora una volta al suo apprendistato iniziale: “la mia manualità è connaturata alla mia formazione da scultore”.
Una conoscenza per le forme tridimensionali che emerge con forza anche nel caso dell’installazione a Dogliani dove, pur basandosi su una struttura muraria preesistente, l’artista la ingloba nella sua opera in modo che quest’ultima aquisti un carattere scultoreo e si imponga con forza su tutto quanto la circonda.
La complessità di realizzazione dei wall drawings, per via del solo uso delle mani, soprattutto una volta che le superfici da trattare hanno raggiunto una ragguardevole estensione, ha richiesto da parte dell’artista, una sempre maggiore collaborazione di assistenti. Tra questi Ferruccio Dotta è colui che ha collaborato maggiormente con Tremlett e che anche a Dogliani sarà per lui la persona di riferimento. In questo caso la presenza di Dotta assume un significato speciale in quanto era amico di Bosso ed è stato lui a metterlo in contatto con l’artista. Per questo il suo coinvolgimento testimonia di un dialogo particolare che era nato tra Tremlett, il suo assistente e il compositore che l’opera Rain in your black Eyes vuole omaggiare: “le impronte delle dita non sono solo mie, ma anche quelle di Ezio che erano sui pianoforti, i violini, i bassi e le bacchette da direttore. Le sue dita, le mie e anche quelle di Ferruccio erano sempre all’opera” (Tremlett).

Antonella Soldaini

DAVID TREMLETT BIO

David Tremlett (St. Austell, Cornovaglia, 1945) studia scultura al Royal College of Art di Londra. Alla fine degli anni ’70, durante i viaggi in Australia, Africa, Iran, Afghanistan e India, entra in contatto con grandi superfici policrome coperte a mano mediante pigmenti; scopre così le polveri colorate, che risultano perfette per le sue esigenze di viaggiatore. Il piccolo formato caratteristico dei primi lavori viene sostituto da supporti di grande scala. Parallelamente alla grafite si affianca l’uso del colore, dal verde al marrone, fino a colori caldi e cangianti. A partire dagli anni ’80 la pratica del wall drawing diventa progressivamente il principale mezzo espressivo dell’artista. Con il tempo questa tecnica si evolve, ampliando sia lo spettro dei colori sia i supporti su cui lavorare, in una pratica definita dallo stesso artista “scultorea”, tesa alla definizione dello spazio e dell’intero volume. La stesura dei pigmenti attraverso l’uso delle mani nude avviene, oltre che sulle pareti degli spazi architettonici, sulla carta. David Tremlett realizza wall drawings in tutto il mondo: si ricordano gli interventi presso la Cappella di Barolo insieme a Sol LeWitt; l’ambasciata inglese a Berlino; British Council, Nairobi; la chiesa di S. Pietro e S. Paolo, Villenauxe-la-Grande, Francia; Tate Britain e Bloomberg HQ, Londra. L’artista partecipa a numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero; tra gli spazi in cui espone si ricordano Museum of Modern Art, New York; Stedeljik Museum, Amsterdam; Centre George Pompidou, Parigi; Juan Miro Foundation, Barcellona; alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Trento; Musée de Grenoble, Francia; Centro d’Arte Contemporanea Pecci, Prato.

Studio G7 ha promosso il wall drawing permanente A New Light. Wall, Ceiling and Floor, 2003, presso la Cappella di Santa Maria dei Carcerati, Palazzo Re Enzo e del Podestà, Bologna, Italia. Studio G7 ha dedicato all’artista le personali Paper walls, 1998; Un progetto per l’ex Convento di Santa Cristina a Bologna, 2000; David Tremlett, 2008; 2019 2020 2021 lavori su carta, 2022.


ISIT.magazine 03 – Notes on contemporary, a cura di Alessandra Cecchini, Andrea Frosolini e Federica di Pietrantonio
Ŏpĕra magazine 06 – edito da ATTIVA Cultural Projects

Fotografie dell’allestimento di Ivan Cazzola