Lunetta11 e la galleria Niccoli presentano a Arte Fiera Bologna 3-5 febbraio 2023 la mostra Abbraccio Elastico un dialogo tra Fausto Melotti e Ismaele Nones.
ABBRACCIO ELASTICO
«La terra non gli mostra che illusioni e fantasmagorie morali; ma voi, concise matematiche, con la concatenazione rigorosa delle vostre salde proporzioni e la costanza delle vostre ferree leggi, fate balenare, agli occhi abbacinati, un riflesso possente della verità suprema di cui si rileva l’impronta nell’ordine dell’universo… È logico talvolta rimettersi all’apparenza dei fenomeni.»
Lautréamont, I canti di Maldoror
In fisica un corpo che ha la proprietà di deformarsi e di tornare in seguito al suo stato originario – una volta che la sollecitazione che ne aveva prodotto inizialmente l’alterazione viene meno – è definito un corpo elastico. Che cos’è dunque l’Arte, se non un serbatoio di corpi elastici che sono “deformati” quando vengono avvicinati tra di loro in raffinate esibizioni proposte da mostre e gallerie? L’accostamento tra Contrappunto piano del 1973 di Fausto Melotti (1901-1986) e l’inedito Avanti Popolo di Ismaele Nones (1992) è dunque immaginato in questa occasione come un abbraccio elastico. È necessario ribaltare la nostra percezione e i nostri criteri di giudizio verso un’opera d’arte isolata, ancora più se storicizzata, di fronte a ciò che le si mette davanti di volta in volta. Il disorientamento preventivo diventa chiave per una lettura consapevole, il significato che assume oscilla a seconda del contesto in cui riemerge, ma ogni interpretazione contempla anche il suo rovescio di medaglia, ovvero: l’Arte sopravvive benissimo anche senza la nostra interpretazione. Curiosamente Proust definiva elastico il tempo di cui ogni giorno disponiamo, affermando infatti che «le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispirano lo restringono, e l’abitudine lo riempie». E, si potrebbe aggiungere, che le cose che guardiamo lo distillano, ed è proprio questa lettura lo spunto dal quale è nata l’idea di un abbraccio elastico.
La tela di Nones si presenta come una visione immutabile; al centro, circondato da architetture sprovviste di progetti apparenti, un corpo assorto, coricato in un’accomodante decadenza, mentre sembra ascoltare una melodia che può darsi vibri in lontananza, ma una lontananza che non viene da fuori, è interna, dal centro della terra, una melodia universale e tellurica. Una musica che dà l’impressione di essere eseguita dal Contrappunto piano di Melotti, una toccata di «un’ansia sottilmente metafisica» (M. Fagiolo). Si riconosce così un’orizzonte musicale condiviso, reso visibile e varcabile. Le «rarefatte impalcature» (I. Calvino) di ottone dell’installazione sono delle note su uno spartito che Melotti compone con l’intento di richiamare il mondo canonico per eccellenza, quello della Grecia di Pericle, una serie armonica di sostegni per sorreggere il cantiere di un nuovo cosmo verticale. E rarefatta è anche l’aria che attraversa l’universo eccentrico di Nones. In ambedue gli artisti la crisi della scultura è inconfutabile, ed è ispiratrice. Per Melotti la scultura non è più quella “lingua morta” di un modellatore del Novecento come poteva essere l’Arturo Martini di Atmosfera di una testa, ma diviene modulazione che, come spiega lo stesso artista, è diversa – etimologicamente – dalla modellazione, in quanto la prima è canone, un richiamo all’ordine, mentre la seconda è disordine; per Nones la scultura rappresenta invece la base di partenza della sua biografia artistica, dalla quale si allontana per dedicarsi alla pittura.
La matematica, con le sue leggi ancestrali, si dischiude agli occhi di Melotti come riflesso di uno scenario più autentico rispetto alla nostra vita fatta di illusioni. È infatti proprio lo spazio a diventare il luogo di modulazione del tempo stesso. Una geografia priva di profondità, così in Melotti come in Nones, che un popolo nuovo con occhi allenati può occupare. L’uso della prospettiva rovesciata nel dipinto che restituisce un pavimento instabile, mosaico di vertiginose piastrelle, permette paradossalmente di rendere l’esperienza più decifrabile, perché mette a disposizione un glossario di forme, grazie al quale ci è permesso di entrare e di muoversi in quel mondo. Vertiginosi come sono i pinnacoli dalle pulite geometrie del roveretano, che tuttavia si alternano a sottili diramazioni laterali, con gesti di delicata civiltà, quasi il fermo e dolcissimo diniego di un mandarino cinese (G. Zampa). La geometria di Nones è un motivo che si ripete, unità di misura del nuovo tempo che ha creato nei suoi quadri, modulo che non è mai puramente decorazione ma reiterazione di figure simboliche, paradigmi che sono esercizi di scansioni visive, schemi di riferimento, per potersi almeno orientare laddove risulta difficile comprendere la superficie al di fuori di noi stessi.
Nell’immaginario che si viene a formare, risonanza di questo esperimento, i palmizi di Nones si mescolano sapientemente con le figure cupressacee di Melotti, flora inverosimile di quel Trentino enigmatico, avamposto alpestre e levantino, che ha dato i natali ad entrambi gli artisti. Tutti e due si curano di ricostruire il Tempo e lo Spazio secondo nuovi canoni. Non frammenti invisibili ma visioni esatte e finite, spazi inquieti e squisiti, che promettono una nuova felicità, libera dal caos e governata dai grandi principi ordinatori finalmente riconoscibili. L’unica felicità attuabile è in ascesa, e si muove come le opere di Ismaele Nones e Fausto Melotti, a strapiombo.
Leonardo T. Manera







